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Giulio Bonasone<break strength="x-strong"/> Bologna, 1500 – 1574<break strength="x-strong"/> Giasone e Medea, conosciuta anche come La vendetta di Medea, 1551-1560<break strength="x-strong"/> Acquaforte e bulino millimetri  209 per 305<break strength="x-strong"/> Donazione Guglielmo Guidi del febbraio 2002<break strength="x-strong"/> Personalità di assoluto rilievo dell’incisione italiana del XVI secolo, Giulio Bonasone esordisce come pittore. Ben presto il suo interesse si volge alla pratica dell’incisione all’acquaforte, spesso sostenuta con interventi a bulino, alla ricerca di intensi effetti chiaroscurali e luminosi. L’incisione di Giasone e Medea – o più correttamente La vendetta di Medea – attribuita in passato al Parmigianino, deriva dalla fronte del sarcofago (II secolo d.C.) raffigurante la Leggenda di Medea, conservato nel Palazzo Ducale di Mantova. È un’acquaforte con interventi a bulino, datata in base al ductus grafico al sesto decennio. Rappresenta il momento in cui Medea, ripudiata da Giasone che le ha preferito Glàuce, si vendica uccidendo la rivale con i figli. La narrazione, articolata in più momenti, si sviluppa da destra verso sinistra, con un graduale crescendo: da una stasi quasi assoluta si conclude con una intensa frenesia, in cui la marcata gestualità delle figure femminili evoca quella delle antiche “menadi invasate” di warburghiana memoria. Sulla destra Glàuce, seduta, ascolta le parole della vecchia nutrice, che forse le consiglia di accettare i doni inviati da Medea (il diadema e il peplo avvelenati). Al centro Giasone assiste atterrito al dramma di Glàuce che, indossata la veste, fugge in preda alle fiamme. Vicino alla culla, i figlioli inconsapevoli giocano a palla. Più a sinistra Medea si allontana verso Atene portando i cadaveri dei fanciulli sul carro tirato da draghi inviatole da Helios.