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TÌSCALI. Il Monte Tìscali sta nel Supramonte e segna il confine territoriale Olièna/Dorgáli. Le vicende recentissime di questo nome così tanto “commercializzato” hanno messo la sordina al fatto che esso è un oronimo, non un toponimo. Il villaggio nuragico attualmente noto come Tìscali era sino a ieri senza nome (almeno sulle carte), perché il nome apparteneva (ed appartiene) al monte che lo contiene, mentre il villaggio sta annicchiato nello scenografico grottone dal tetto semicrollato, che i Sardi nominarono alla spagnola curtìgia (cortilla), ‘cortile’. Il monte, alto appena 518 metri, è una autentica roccaforte naturale, asperrima e bellissima, incastonata in un luogo originariamente tra i più selvaggi del Supramonte, ma nel contempo tra i più strategici, essendo collegato a Dorgáli e ad Olièna da due valli (Doloverre-Súrtana la prima, Lanaittho-Sa Oke la seconda). Questa seconda valle venne fulmineamente occupata dai Romani allorché fu costruita la strada che da Dorgáli procedeva verso Nùoro passando per le cospicue fonti di Su Gologòne. La costruzione della famigerata strada e la conseguente occupazione del territorio agricolo di Olièna (vedi lemma) fu per i Nuragici (gli Ilienses o Jolaenses) una catastrofe umana di proporzioni inimmaginabili. I superstiti s’arroccarono sulle aspre pendici del Supramonte, tenendosi ben stretti ai tre villaggi degli alti-pascoli: Sòvana, Duavidda e Tìscali. I Romani, evidentemente, continuarono a subire per decenni le sanguinose bardane degli Jolaenses, che gl’impedivano un uso economico della strada e delle coltivazioni. Fu così che realizzarono uno dei più vergognosi misfatti della loro occupazione, l’incendio sistematico del Supramonte di Olièna, in modo da sospingere le greggi degli Jolaenses tre chilometri più addietro, tra le foreste che oggi appartengono al Supramonte di Orgòsolo. Nessun naturalista si è mai chiesto che cosa significhi quella landa desertica e fascinosa, d’un candore abbacinante, che dalle creste di Ortu Camminu, Sos Nidos e Cusidòre avanza a quota 1000, per chilometri, sulla roccia levigata verso sud, sino alla Punta Corrási, sino all’antichissimo villaggio di Sòvana, sino alle foreste di Orgòsolo che s’ergono di colpo, come una frontiera, di fronte al deserto olianese. Nessun naturalista ha mai messo in evidenza che il fenomeno dei bonsai, frequentissimo in tutte le lande predesertiche della Sardegna, segno d’incendi epocali e di centenari sovrapascolamenti, nel Supramonte di Olièna non esiste neppure. A Olièna c’è il deserto assoluto, un perfetto vuoto biologico che nessuno ha mai indagato. A saper leggere geograficamente questo fenomeno, non servono affatto i documenti cartacei. Il deserto è lì: corre parallelo alla strada romana. È evidente come poi i Romani fossero giunti a chiamare il Supramonte di Olièna Tesca Loca (Tesqua Loca), e poi Tesca (con o senza loca), a indicare dei 'luoghi sterili, aspri, incolti, lontani dai consorzi civili, lande, steppe, deserti' (vedi Cicerone e altri). Orazio parlò di Tesca deserta et hinospita. Il nome al singolare fa tescum, ed il suo incrocio con testa ‘vaso di terracotta’ ha prodotto l’italiano teschio. L’aggettivale generale di Tesca rimase col tempo (per sineddoche inversa) al solo Monte Tìsca-li, al cui originario Tesca/Tisca gli Jolaenses aggiunsero il normale suffisso sardiano -li. Tìscali dunque significa ‘altura sterile’, ‘territorio sterile’. Ci fa piacere leggere in Pittau (UNS 182) come anch'egli supponga operata in Sardegna, da parte dei Romani, la tattica della "terra bruciata" e del "genocidio". Se egli fosse venuto a piedi nel Supramonte, non avrebbe avuto bisogno di mettere le virgolette a questi concetti. In ogni modo, Tìscali può avere una seconda opzione etimologica, da sum. teš ‘orgoglio’ + kalak ‘trincea, scavo’, sd. ‘curtìgia (piccolo cortile)’: teš-kalak, col significato di ‘cortile dell’orgoglio’. La ragione di tanto nome, in un sito šardana quasi contiguo all’insediamento romano di Sos Carros, sarebbe dovuta al fatto che la tribù indigena non solo rimase abbarbicata a Tìscali, ma rispose sempre a testa alta ad ogni provocazione dell’invasore; fatto che trasmise ai posteri la memoria dell’orgoglio nazionale.