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Non c’è arrivo senza partenza. E non c’è conversione senza apostasia. In quasi tutti i viaggi si festeggia l’arrivo, e assai più raramente la partenza. Anche nelle conversioni l’apostasia resta quasi sempre in ombra – ma è continuamente evocata. Il clamore suscitato dalla scelta di Silvia Romano, a ben vedere, non risiede soltanto nella sua conversione esplicita, ma soprattutto nell’apostasia implicita. Passata un poco la burrasca, possiamo rifletterci sopra con maggior calma. L’apostasia di Silvia L’antichità classica era talmente fluida che faticava a comprendere il significato di appartenenza religiosa, e quindi non poteva nemmeno concepire i meccanismi di entrata e di uscita da un culto. La conversione, dunque, è soltanto l’ennesima specialità monoteista. Non è un caso se la conversione più famosa di tutti i tempi è quella di san Paolo, folgorato “sulla via di Damasco”: è un inciso che vive ormai di vita propria, anche a spese dei contribuenti. Nella storia, però, le conversioni spontanee sono sempre state rare. Ed è per questo motivo che fanno notizia. Proprio perché rare, proprio perché richiedono uno sforzo enorme a fronte di un ben misero risultato, le analisi costi-benefici hanno sempre suggerito una strada decisamente drastica e immorale, ma senz’altro più efficace, se il potere è d’accordo: le conversioni forzate su interi popoli. Le prime di cui abbiamo notizia, quelle compiute dai Maccabei, sono ampiamente celebrate nella Bibbia (ebraica prima, cattolica e ortodossa in seguito). Il modello di papa Ratzinger, sant’Agostino, a sua volta le giustificò autorevolmente alla luce del Vangelo. D’altronde, possiamo trovare un miglior esempio di conversione non richiesta al cattolicesimo del battesimo dei neonati, che vengono ancora esorcizzati per scacciare Satana, a cui appartengono fino a quel momento? Ne consegue che, se bisogna(va?) essere cristiani per forza e se il battesimo rappresenta “un sigillo indelebile”, l’apostata che lo rifiuta sceglie di tornare nelle braccia di Satana. Va quindi considerato un vero e proprio infame: e la chiesa, fin dai primi tempi, lo ha coerentemente scomunicato. L’impero romano, una volta diventato anche cristiano, lo ha invece presto privato dei diritti civili (dal 391) e della vita stessa (dal 534). Vien da pensare che, se non avessimo avuto l’illuminismo, tali provvedimenti sarebbero ancora in vigore. La legge canonica ha infatti preteso la morte dell’apostata fino al 1917, e persino ora lo considera passibile della scomunica latae sententiae, quella che, anche se la chiesa non lo viene a sapere, scatta comunque in automatico. Per capirci: secondo le gerarchie ecclesiastiche, il genocida non merita una pena altrettanto dura. L’incensamento della conversione va quindi di pari passo con la demonizzazione dell’apostasia. L’apologetica, che arriva a inventarsi la conversione di famosi increduli (Gramsci, Camus, Hitchens), allo stesso modo enfatizza lo straniero che si fa cattolico: già capita col migrante qualunque, figuriamoci con quello vip (Magdi Allam fu battezzato durante una veglia pasquale da Benedetto XVI in persona). Quando però accade il contrario, c’è chi grida immediatamente all’altissimo tradimento: lo psicodramma di questi giorni nasce da questa remota antitesi. Squisitamente teologica, per quanto possa apparirci anche tribale. È una contrapposizione che la destra ha fatto immediatamente, naturalmente propria. Come in un crescendo wagneriano: dal titolo di Libero (Abbiamo liberato un’islamica) all’epiteto di “neo-terrorista” affibbiato dal leghista (e ultrà cattolico) Alessandro Pagano; dalla richiesta di arresto da parte di Sgarbi all’invito all’impiccagione formulato dal consigliere comunale di Asolo. Una vera battuta di caccia dai connotati sessisti contro “una ingenua che se l’è andata a cercare” – un film peraltro già visto contro altre giovani volontarie (le due Simone, Greta e Vanessa), che traducevano anch’esse in pratica un ritornello caro ai sovranisti, quell’“aiutiamoli a casa loro” sempre sbandierato, ma mai attuato. Nessuno sarà però rimasto sorpreso dall’ancora maggiore acredine manifestata negli ultimi giorni. Agli occhi dei nazional-cattolici, infatti, Silvia l’apostata ha compiuto un duplice tradimento: una milanese, già animatrice in parrocchia, non può abbracciare una religione straniera. A modo loro, gli identitaristi sono sinceri: non ce la fanno proprio ad accantonare dall’oggi al domani due millenni di radici cristiane. Cambiare tutto per non cambiare niente Altrettanto “naturale” è stata però l’accoglienza (talvolta persino festosa) della conversione di Silvia da parte degli esponenti liberal e di sinistra. Le valutazioni delle implicazioni della sua decisione si possono purtroppo contare sulle dita di una mano. E fosse solo questo, il problema. Sui social network sono traboccati gli insulti in risposta alle affermazioni di destra (con toni soltanto leggermente