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PROTAGONISTA Milton era un brutto: alto, scarno, curvo di spalle. Aveva la pelle spessa e pallidissima, ma capace di infoscarsi al minimo cambiamento di luce o di umore. A ventidue anni, già aveva ai lati della bocca due forti pieghe amare, e la fronte profondamente incisa per l'abitudine di stare quasi di continuo aggrottato. I capelli erano castani, ma mesi di pioggia e di polvere li avevano ridotti alla più vile gradazione di biondo. All'attivo aveva solamente gli occhi, tristi e ironici, duri e ansiosi, che la ragazza meno favorevole avrebbe giudicato più che notevoli. Aveva gambe lunghe e magre, cavalline, che gli consentivano un passo esteso, rapido e composto… Così Fenoglio ci presenta direttamente il protagonista del romanzo un brutto, il suo pregio è negli occhi, ansiosi, duri, un po’ tristi “ ….la ragazza meno favorevole li avrebbe giudicati notevoli…”, i suoi occhi sono il riflesso della sua interiorità che è quindi bella e profonda. Questa è forse una descrizione organizzativa, in poche battute ci anticipa l’essenza del romanzo e ce ne fornisce una chiave di lettura. Milton ha ventidue anni, è da due anni nell’U.N.P.A. (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) e fa parte della schiera di partigiani detti “azzurri” o “badogliani”, ha frequentato l’università, ama la cultura e la lingua inglese (aspetti molti autobiografici), il suo nome è un nome di battaglia ed è dovuto alla simpatia nutrita dall’autore per John Milton, poeta seicentesco seguace di Oliver Cromwell. Il suo ritratto psicologico ci è fornito lungo tutto il corso del romanzo, durante il viaggio della sua mente tra ricordi. Ogni decisione che egli prende tende a ribaltare le convenzioni, Milton si rende così inspiegabile agli occhi di tutti “…Io non so cosa gli sia preso, che cosa abbia visto o sentito in quella casa…è sicuro che è una cosa della vita di prima…le cose di prima a dopo, a dopo!…”(cap.I). Il suo è un viaggio angoscioso della mente nel passato, sente di aver perso un amore che forse non aveva mai avuto, la sua è una dimensione totalmente platonica. Milton è consapevole della sua mancanza di bellezza “...sedeva scomodo...i pugni serrati nelle tasche per mascherare la piattezza delle cosce…con in fondo a una tasca un foglietto con una versione di una poesia”, per questo fonda la sua relazione con Fulvia sulle lettere che sapeva scrivere magistralmente. Il suo viaggio è un continuo dialogo implicito con la natura che o gli è avversa o esplicita i suoi sentimenti, le avversità naturali sono l’equivalente del suo stato d’animo. Si potrebbe scrivere molto di più su questo personaggio, ma io voglio sottolineare un particolare che mi ha colpito: la ripetuta associazione tra Milton e il cane. Questa identificazione animale avviene in tre punti, nei capitoli VII, VIII, IX. Nel settimo capitolo Milton è scosso dal continuo abbaiare di un cane e la vecchia dalla quale è ospitato gli dice: “ Fa così non perché ci sia pericolo, ma perché ce l’ha con se stesso”. Nel nono capitolo dopo aver catturato il sergente fascista, Milton sente un cane che abbaia “ …d’allegria …”. Nell’ ottavo capitolo durante il dialogo con la contadina la similitudine è esplicitata : “ma non te lo butterò come a un cane , tu non sei un cane”. Il continuo paragone implicito ed esplicito serve forse a farci immaginare Milton che fedele al suo padrone ( Fulvia, Giorgio o il suo dubbio? ) sarebbe pronto a sacrificarsi per lui.